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Non esistono “cose da maschi” e “cose da femmine”

18/04/2021

L’ultimo libro di Matteo Bussola, Viola e il blu, smonta pezzo per pezzo le convenzioni. Un manuale di educazione alla parità da leggere ai nostri figli, un inno alla libertà di essere, sempre, ciò che si vuole. Come spiega in questa intervista.

Quando ho preso in mano Viola e il blu di Matteo Bussola (uscito pochi giorni fa per Salani e in cima alle classifiche dei libri più venduti) ho pensato ecco il libro che mancava. Ho pensato, subito dopo, che sarebbe stato il prossimo libro da leggere con i miei figli, maschi, di 7 e 9 anni. Perché da quando sono nati, spiego loro tutti i giorni che non esistono cose da maschi e cose da femmine, giochi da maschi e giochi da femmine. Esistono cose, esistono giochi. Lo so bene perché da bambina mi chiamavano maschiaccio, giocavo solo a calcio e non ho mai amato le bambole, la casa di Barbie delle mie sorelle con l’ascensore che faceva su e giù mie sembrava una noia mortale. E poi correvo, mi arrampicavo, un terremoto per di più sempre con i capelli corti. E se mia madre mi metteva un vestito dicevo “no grazie, io metto i pantaloni blu”.

Ecco, quando ho preso in mano Viola e il blu, ho ricordato me bambina, così simile a Viola. Ci voleva, finalmente, un libro per abbattere i cliché più comuni, stereotipi, piccole forme di iniquità che bambine e ragazze incontrano a scuola o altrove. Perché a Viola piace il blu e non il rosa, le piace tantissimo, e pure arrampicarsi sugli alberi, e proprio non capisce perché una bambina che gioca a calcio è un maschiaccio e un bambino che vuole fare danza è una femminuccia. E proprio non si spiega perché venga considerata una tipa strana, tanto meno perché venga ritenuto auspicabile che una bambina sia gentile e docile, mentre ai bambini viene concesso con più facilità di essere indisciplinati e liberi. Bussola con questa storia ( leggetela ai vostri figli, grandi e piccoli) smonta pezzo per pezzo le convenzioni. Un piccolo manuale di educazione alla parità, un inno alla libertà di essere, sempre, ciò che si vuole. Come spiega in questa intervista.

 

 

A Viola piace il blu, e pure giocare a calcio. Quali sono gli scogli più difficili che si trova ad affrontare?

Viola si ritrova di fronte a una serie di pregiudizi, in alcuni casi apparentemente innocenti, che infestano spesso le vite delle nostre bambine e dei nostri bambini. Da chi stigmatizza la sua predilezione per il colore blu, dicendole che in quanto femmina dovrebbe amare il rosa. A chi divide il mondo in “cose da maschi” o “cose da femmine”, con la conseguenza che se una bambina vuole giocare a calcio viene considerata “un maschiaccio” e presa in giro, e se un bambino vuole giocare on le bambole viene chiamato “femminuccia” e preso in giro a sua volta, fino ad arrivare a una serie di stereotipi di genere che innervano anche le vite di noi adulti. Il papà di Viola viene chiamato “mammo” solo perché è un padre presente che dedica molto tempo alla sua bambina e lavora da casa. La mamma di Viola viene definita “una donna con le palle” solo perché fa l’ingegnere (anzi: l’ingegnera, come ama ripetere Viola), guadagna più del papà e le capita a volte di tornare tardi dall’ufficio.

Se un bambino piange, ancora oggi, si sente ancora dire che è una “femminuccia”. Da cosa dipende questa cultura?

Dipende dal fatto che viviamo immersi negli stereotipi, nostro malgrado. Dipende dal fatto che associamo prevalentemente al maschile qualità come: la forza, la determinazione, la sicurezza, la risolutezza. E prevalentemente al femminile qualità come: la dolcezza, l’accoglienza, la pazienza, la cura. Mentre invece queste qualità riguardano tutti, dato che tutti noi, indipendentemente dal nostro genere, le conteniamo.

La conseguenza?
Accade che alleviamo spesso inconsciamente le bambine a essere educate e docili, a “comportarsi bene”, a manifestare la loro sensibilità senza troppi problemi, mentre dai bambini accettiamo in genere con maggiore facilità che siano più indisciplinati e liberi. E, soprattutto, insegniamo ai maschi, fin da piccoli, a proteggersi dalla propria fragilità. “Non piangere, che sei un ometto”, quante volte lo abbiamo sentito dire? La verità è che la fragilità, le difficoltà, le crepe andrebbero accolte invece che nascoste, proprio per crescere sani ed equilibrati. Perché, come diceva Leonard Cohen, “è proprio dalle crepe che entra la luce”. 

Il libro ha trovato ispirazione dal dialogo con le sue tre figlie, Virginia, Ginevra e Melania: che cosa le raccontano, quali gli stereotipi più difficili che si sono trovate ad affrontare?

Mi hanno raccontato alcune suggestioni che le riguardano. Su tutte, appunto, quella dei colori. I colori preferiti delle mie bambine sono il blu, il giallo e il rosso. Nessun rosa o fucsia né fra le loro preferenze né fra i loro abiti. Aggiungo: se così fosse, non ci sarebbe nulla di male, proprio perché tutti/e abbiamo diritto alla libertà dei nostri gusti. A loro, proprio come a Viola, è capitato di essere prese in giro per questa ragione: perché secondo il luogo comune non amavano colori “femminili”. Proprio per questo ho fatto un salto sulla sedia quando ho scoperto che fino a non troppo tempo fa, diciamo più o meno la metà del secolo scorso, era in genere esattamente il contrario: il blu era considerato il colore delle femmine. Il rosa il colore dei maschi.

Incredibile!
Eh già. Come ricorda il papà di Viola alla sua bambina nel libro, il velo di Maria, la Madonna, la donna e madre per eccellenza, in quasi tutti i quadri della storia della pittura occidentale viene rappresentato blu. Mentre il Dio di Michelangelo, rappresentato nella Cappella Sistina, è avvolto da una veste rosa. Significa che quelle che oggi consideriamo spesso incrollabili ed eterne certezze non lo sono affatto, ma sono suddivisioni relativamente recenti. E questo ci insegna che il mondo è in continuo cambiamento, per questo tutte le sacrosante differenze e le diversità, anzi le unicità delle persone, possono e devono abitarlo senza paura.

 

 

 

“Ma chi era che lo decideva?”, chiede spesso Viola al papà… Come si fa a spiegare a una bambina che nonostante le convenzioni e le convinzioni, le risatine dei compagni e le prese in giro, può essere tutto ciò che desidera.

Lo si fa ricordandole che il compito di ognuno di noi, la ragione specifica per cui siamo al mondo, è quella di essere noi stessi. Dovremmo essere orgogliosi di come siamo proprio come persone, oltre il genere. Al mondo –  dovremmo esserne sempre consapevoli – non ne esiste un altro come noi. Come me o come te. Non siamo solo tutti diversi, ma ciascuno di noi è unico. Con le proprie caratteristiche, i propri gusti, la propria bellezza. Questo, per me, da genitore, è il messaggio più importante che dovremmo trasmettere alle nostre bambine e ai nostri bambini: imparare ad accogliere la loro verità, amarli per ciò che sono e non per ciò che qualcuno (la società, il mondo, a volte noi stessi) vorrebbe che fossero. Chi ci prende in giro lo fa solo perché ci vorrebbe come vuole lui. Ma è nostro diritto, invece, rivendicare il valore di essere precisamente ciò che siamo e di diventare ciò che desideriamo.

Che cosa possiamo fare noi genitori per abbattere le cose da maschi e le cose da femmine. Insomma, da dove si parte per lasciare i bambini liberi di essere del colori che vogliono?

Si parte dalla famiglia. Disinnescando gli stereotipi di genere proprio dall’interno del nucleo familiare. Dimostrando ai nostri figlie e figlie che gli stereotipi di ruolo sono pericolosi quanto e come quelli di genere (perché hanno la stessa radice). In altre parole: che non esistono cose solo “da mamma” e cose solo “da papà”, ma che una famiglia è semplicemente un organismo all’interno del quale vengono espressi dei bisogni. Ed è importante che a questi bisogni venga offerta una risposta, ma la qualità della risposta non dovrebbe dipendere da chi la offre, se la mamma o se il papà. Insomma, si fanno le cose che ci sono da fare, portando il nostro contributo anche sulla base delle nostre attitudini, più che su quelle previste dal “ruolo”. Nella nostra famiglia, per esempio, mi occupo io della gestione della dispensa e sono quasi sempre io a cucinare perché ho questa passione, e le bambine trovano del tutto naturale chiedere a me, ogni giorno, cosa ci sia per pranzo e cosa ci sia per cena. A volte, la cena la prepariamo insieme, che è anche un bel modo per passare assieme del tempo di qualità. Allo stesso modo, le bambine trovano ugualmente naturale rivolgersi alla mamma se devono avvitare un lampadario sul soffitto o se devono appendere una nuova mensola nella loro cameretta, perché la mamma ha abilità manuali e di bricolage di molto superiori a quelle del papà.

Insomma, disinnescare i più frequenti luoghi comuni…

E farlo con l’esempio. Insegnare ai nostri bambini e bambine che la vita è un gioco in cui le regole ce le costruiamo noi con il nostro impegno e con il nostro comportamento, senza lasciare che qualcun altro decida al posto nostro quali ruoli o ambiti ci dovrebbero spettare per statuto. Lasciare che ognuno si dipinga appunto con tutti i colori che vuole, oltre il rosa, oltre il blu. Perché è solo così che nascono i quadri migliori.

Viola e il blu (Salani)

Pagine: 180

Prezzo 14,90 €

 

Articolo a cura di Benedetta Sangirardi – giornalista

 

 

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